La dinastia finisce dopo 240 anni. Reso noto un accordo in 23 punti tra i maoisti e i principali partiti al potere. Ad aprile le elezioni per l' Assemblea costituente
«Ecco, a questo punto, è tutto a posto. Non dobbiamo fare altro». Parola di Prachanda, nome di battaglia (in nepalese significa «Il terribile») di Pushpa Kamal Dahal, 53 anni, leader dei guerriglieri maoisti, appena ottenuta l' ultima vittoria, la più importante da quando ha accettato di deporre le armi ed entrare nel gioco politico: «La monarchia è finita in questo Paese». Il Nepal dice addio al trono. Entro primavera l' assemblea costituente che sarà eletta per riscrivere la Carta fondamentale, proclamerà la «Repubblica federale democratica». Re Gyanendra dovrà rinunciare allo scettro. Per amore o per forza, l' ultimo dei sovrani hindu, appartenente a una dinastia - gli Shah - che ha governato il regno himalayano senza interruzioni dal 1769, prenderà la via dell' esilio con largo anticipo rispetto a quanto vaticinato proprio dal suo acerrimo nemico Prachanda nel febbraio 2006, in una rara intervista concessa alla Bbc. «Tra cinque anni - aveva detto il leader rivoluzionario - il Nepal sarà una repubblica. E il re sarà giustiziato o in esilio». La profezia diventa realtà con largo anticipo. E senza bisogno di spargere sangue - a meno che Gyanendra, finora silenzioso, non giochi la carta disperata di un colpo di Stato. «Ma se il re cospira per impedire le elezioni, il Parlamento ad interim potrà decidere a maggioranza dei due terzi di proclamare la Repubblica anche prima dello scrutinio», ha detto il ministro delle Finanze di Kathmandu, Ram Sharan Mahat, illustrando l' accordo in 23 punti appena raggiunto tra i maoisti e i principali partiti al potere. Un accordo accolto con favore anche dal segretario generale dell' Onu Ban Ki-moon: «Ne sono felice», ha detto. Concludendo dieci anni di ribellione, nel 2006, i comunisti, fedeli al pensiero del Grande Timoniere, avevano deciso di entrare nell' esecutivo dopo le manifestazioni di piazza che avevano costretto re Gyanendra a mettere fine a 14 mesi di potere assoluto, ma ne erano usciti tre mesi fa lamentando di essere poco rappresentati. In realtà, rivendicavano la fine della monarchia e l' introduzione del voto proporzionale. La crisi politica è stata grave al punto che molti hanno temuto una ripresa della lotta armata, durata dieci anni con un bilancio di vittime terribile: 13 mila morti. L' intesa è stata dunque accolta con grande sollievo nel Paese stremato da attentati e rivolte (l' ultima quasi due anni fa) che hanno prosciugato una delle voci più importanti della sua economia: il turismo, legato al trekking sulle cime più alte del mondo, Everest compreso. Certo pochi si preoccupano della sorte di re Gyanendra. Odiatissimo nel Paese, era salito al trono nel 2001 dopo la tragica scomparsa di re Birendra, suo fratello, ucciso da uno dei figli (poi morto suicida): l' esplosione di follia portò al massacro nel Palazzo di Kathmandu di dieci membri della famiglia reale, fino allora adorata in Nepal. Ex uomo d' affari, dai modi spicci e spesso brutali, nel 2005 Gyanendra, con la scusa dell' insurrezione armata dei maoisti, aveva sospeso la Costituzione promulgata nel 1990, sciolto il Parlamento e licenziato il governo per assumere poteri dittatoriali. Una mossa servita solo a trasformare in nemici gli ultimi alleati della dinastia. Oggi, il re non solo non ha amici: non ha nemmeno più il rispetto di un solo nepalese che non porti le stellette. «Se soltanto avesse un briciolo di dignità - dicono nel bazar di Kathmandu - lascerebbe il palazzo. Non ha più potere né sostegno: tanto vale che sparisca, per non tornare mai più».
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