La Chiesa fin dalle sue origini si è prefissata l’obbiettivo della definizione e della difesa dell’ortodossia, indicando pertanto alla comunità dei fedeli quali posizioni dottrinarie siano ortodosse e quali no, eventualmente allontanando chi continua a sostenere posizioni eretiche (anche con la scomunica). A un certo punto della storia è subentrata una modalità diversa di difesa della fede, che è quella definita col termine specifico di Inquisizione (dal latino inquirere: indagare, investigare).
Il Tribunale dell’Inquisizione nasce, ufficialmente, nel 1184 con il decreto di Papa Lucio III Ad Abolendam, che stabilì il principio (sconosciuto al diritto romano) che si potesse formulare un'accusa di eresia contro qualcuno e iniziare un processo a suo carico, anche in assenza di testimoni attendibili. Nel 1208, il potere politico e quello religioso scatenarono una vera e propria crociata contro Càtari e Valdesi, facendo leva, da un lato, sul carattere sovversivo di questi movimenti che predicavano spirito egualitario che andava contro il rigido ordine sociale del Medioevo fondato sul cristianesimo, e, dall'altro, sulla loro capacità di distogliere dalla “vera fede”. Le eresie minavano, infatti, le fondamenta stesse degli Stati, la cui unità dipendeva proprio da una religione comune e condivisa, quella cristiana. La Chiesa cattolica capì quindi che il fenomeno dei movimenti ereticali non poteva essere affrontato in maniera sporadica ma richiedeva un approccio di tipo sistematico: fu in questo modo che prese forma l'idea di uno speciale tribunale che si occupasse specificamente del problema.
Le procedure di questo tribunale erano regolate da norme severe. Se, nel corso di un processo contro un eretico, l'inquisito (il termine moderno deriva proprio dall'uso medievale) accettava subito di ritrattare poteva non subire alcuna grave conseguenza: l'indagato confessava la propria colpa (vera o presunta) egli doveva dichiarare pubblicamente il proprio errore, la volontà di non ripeterlo per il futuro e l'impegno a denunciare al Santo Uffizio eventuali eresie di cui fosse venuto a conoscenza (abiura). Se ciò non avveniva l'ufficiale inquisitore minacciava la tortura e, di fronte a un ulteriore rifiuto, procedeva alle vie di fatto. Se l'imputato, nonostante tutto, persisteva, allora il Tribunale dichiarava la propria incapacità a ricondurre l'eretico dentro i confini della Chiesa e lo affidava al “braccio secolare”, cioè il tribunale civile che ne aveva la giurisdizione (bisogna anche tenere presente che il diritto medievale non distingueva fra reato e peccato e che il Cristianesimo era la “religione di stato”): questo perché il Tribunale dell'Inquisizione non ebbe mai il potere di eseguire direttamente condanne a morte né al carcere. Tale situazione creò un rapporto di reciproco compromesso, per cui la Chiesa aveva bisogno del potere civile per eseguire le condanne corporali (non per nulla si cominciò a parlare, appunto, di braccio secolare) e il potere politico, spesso, utilizzò la copertura dei Tribunali dell'Inquisizione per dare una veste di legittimità alle proprie campagne repressive contro avversari politici.
Oggi, dopo secoli di reciproca delegittimazione e accuse, il rapporto fra la cultura laica e quella cattolica ha fatto notevoli passi in avanti e commissioni miste di laici e cattolici si sono confrontate in anni recenti su questioni delicatissime (ad esempio il caso Galilei). L'Inquisizione fu certamente responsabile della morte di migliaia di persone nel corso dei secoli e ancora oggi è sinonimo di strumento di coercizione del pensiero in tutte le sue forme proprio perché le vittime dei suoi tribunali avevano l'unica colpa di avere opinioni diverse. E’ forse per questo che Papa Giovanni Paolo II, in un discorso dell’8 marzo 2000 chiese perdono, a nome della Chiesa, per i peccati dei suoi appartenenti anche riguardo all’Inquisizione.
Eppure, durante i secoli della sua attività, si è affermato un principio fondamentale per la nostra civiltà giuridica. Per quanto poco rilevato nei libri, fu grazie all'Inquisizione che si affermò il principio che la giustizia non deve servire ad esercitare la vendetta dello Stato contro il crimine, ma deve tendere al recupero del colpevole (magari utilizzando pene alternative al carcere). Infatti, proprio perché i giudici dell'inquisizione non avevano il potere di condannare né a morte né al carcere (lo spirito dell'Inquisizione all'origine non era punitivo, ma di recupero delle anime) non è infrequente imbattersi in documenti nei quali l'inquisito viene condannato a recarsi in pellegrinaggio in Terrasanta, o a servire per un certo periodo nelle mense dei poveri, o, come nel caso di Galilei, a recitare preghiere per un certo numero di settimane.
Ma non c’è dubbio che ci siano voluti secoli (e forse non ne siamo ancora del tutto fuori) per rimuovere la filosofia di fondo che presiedeva al giudizio inquisitorio, cioè la pretesa di giudicare l'opinione, l'idea, la credenza di un uomo: l'inquisitore metteva, infatti, sotto processo l'anima dell'inquisito. Ed io penso che forse questa sia l’unica vera colpa dell’Inquisizione.
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